Il beato Francesco due anni prima della sua morte fece nel ‘luogo’ della Verna una quaresima a onore della beata Vergine Madre di Dio e del beato Michele Arcangelo, dalla festa dell’Assunzione di santa Maria Vergine fino alla festa di san Michele di settembre; e scese su di lui la mano del Signore: dopo la visione e le parole del Serafino e l’impressione delle stimmate di Cristo nel suo corpo, fece queste lodi scritte dall’altro lato della pergamena e le scrisse di sua mano, rendendo grazie a Dio per il beneficio a lui fatto. È bene precisare che negli ultimi tempi della sua vita Francesco dovette sostenere, per oltre due anni, una grandissima tentazione. I suoi compagni raccontano che, mentre si trovava alla Porziuncola, piombò in una «gravissima tentazione dello spirito». Da quel momento non riusciva più a mostrarsi lieto come lo era di solito, divenne insolitamente taciturno, si isolava dagli altri, nella preghiera si abbandonava sovente alle lacrime, chiedendo al Signore che l’aiutasse a superare quel momento terribile. Lo stesso gli accadde sul monte della Verna, quando ricevette le stimmate.
Anche Francesco ebbe quindi il suo Getsemani. Come tutti i grandi mistici, dopo essere asceso alle vette vertiginose dell’unione con Dio, gli fu chiesto di attraversare la notte buia dello spirito, durante la quale gli sembrò che il Signore tacesse, che non rispondesse al suo grido di angoscia. Al termine di quel cammino scarnificante, egli ottenne sulla Verna la risposta definitiva ai propri dubbi: nell’esperienza straordinaria che lo avrebbe unito profondamente a quel Dio che tanto aveva patito per lui, comprese definitivamente che solo la croce poteva caratterizzarlo in modo totale e definitivo come vero seguace del Cristo. In tal caso, le stimmate verrebbero cronologicamente a collocarsi a ridosso del superamento definitivo delle tentazioni che l’avevano vessato per alcuni anni. Si tratterebbe della risposta evidente di Dio dopo un doloroso periodo di ‘assenza’.
Il «beneficio» ricevuto, di cui parla Leone, potrebbe perciò consistere non solo e non tanto nell’impressione delle sacre ferite sul suo corpo, ma nel dono – immenso – di una pace interiore ritrovata, che gli faceva accettare con serenità anche situazioni che prima erano state causa di tentazione. Come non mai, nelle Lodi di Dio Altissimo Francesco invoca Dio come difesa e riparo, ciò che sembra confermare la sua precedente situazione di difficoltà: tentato e vessato dal nemico, egli individuava nell’Altissimo la sua ancora di salvezza. La liberazione ottenuta, dono di Dio che appose sul suo eletto «l’ultimo sigillo» (DANTE, Paradiso XI, 107), fu per Francesco una vera rinascita. Le stimmate, dunque, impressero sul corpo del Santo non soltanto i segni della Passione del Signore, ma restituirono a Francesco un cuore liberato, un cuore che aveva sperimentato la potenza di un Dio che è «rifugio e forza, aiuto sempre vicino nelle angosce» (Sal 46, 2).
Come le sue, anche le nostre ferite, quelle che più ci fanno sanguinare, possano divenire delle feritoie attraverso le quali lo Spirito del Signore faccia penetrare in noi la sua pace…