La vigilia della festa della Madonna del Carmelo dell’anno 1747, ad Arezzo, nella nobile famiglia Redi, venne alla luce Anna Maria, seconda di tredici figli. In un ambiente familiare profondamente cristiano crebbe candida come un giglio: ripetutamente chiedeva ai genitori e agli zii che le parlassero di Gesù e cosa dovesse fare per piacergli.Amava poi ritirarsi nella sua stanza per pregare ed ammirare i suoi “santini”. All’età di nove anni, per la sua formazione, sia cristiana che umanistica, fu mandata a Firenze con la sorella Eleonora Caterina, all’Educandato delle Benedettine di S. Apollonia. Qui, felice e serena, trascorse la sua adolescenza. Ricevette la Prima Comunione il giorno dell’Assunta del 1757. Fatto significativo, il suo maggior confidente era il padre, Ignazio Maria Redi, uomo illuminato e religioso. Tra i due iniziò un intenso rapporto epistolare, andato purtroppo quasi interamente perduto per la vicendevole promessa di dare al fuoco le lettere. Anna Maria più volte disse che era grata al padre, più per quello che le insegnava, che di averla generata fisicamente. Dopo aver letto la vita di S. Margherita Maria Alacoque nacque in lei una grande devozione al Sacro Cuore, amore intimo a Cristo. All’età di diciassette anni, seguendo l’esempio dell’amica Cecilia Albergotti, sentì la vocazione ad entrare nel Carmelo; il distacco dalla famiglia fu dolorosissimo. Il 1° settembre 1764 fu accolta nel Monastero di S. Maria degli Angeli di Firenze. Fece la professione religiosa il 12 marzo 1766 divenendo suor Teresa Margherita del Cuor di Gesù.
Scrupolosa nel rispetto della Regola, amava molto la preghiera mentale, anche notturna. Un amabile sorriso era sempre impresso sul suo volto. Spiritualità carmelitana dunque con una profonda devozione al Cuore di Gesù, sorgente di vita e d’amore. Con l’amica Cecilia iniziò una “santa sfida” nell’amare Cristo e per questo presero l’impegno di confidarsi ogni mancanza, nel periodo del silenzio non con le parole, ma con piccoli biglietti. Attraverso le testimonianze del padre e del direttore spirituale, P. Ildefonso di S. Luigi, conosciamo la sua scalata alla santità. Mentre era ancora una giovane professa, nacque in lei il desiderio profondo di conoscere la vita nascosta di Gesù. Padre Ildefonso le diede da meditare un brano della lettera di San Paolo ai Colossesi in cui si legge: “Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio”. Appagare la sete di Dio attraverso l’imitazione di Cristo divenne lo scopo della sua esistenza. Nacque così quella singolare espressione: “Che bella scala, che scala preziosa, indispensabile è il nostro buon Gesù!”, maestro, modello e strumento per comprendere ed entrare nel Mistero Divino. La sua contemplazione era trinitaria: lo Spirito Santo era la fonte e Cristo la via per giungere al Padre. All’atto della professione religiosa, per amore di Gesù, rinunciò a quello cui maggiormente teneva: il rapporto epistolare col padre. Le costò tantissimo ma si promisero che da lì in poi, ogni sera, prima del riposo, si sarebbero incontrati nel Cuore di Gesù. Domenica 28 giugno 1767, mentre era in coro per l’Ora di Terza, sentì dalla lettura breve : “Deus Charitas est et qui manet in charitate, in Deo manet” (Gv. 1 4,16). Un sentimento soprannaturale la pervase e per più giorni rimase scossa. Donò il suo cuore a Cristo, offrendosi per essere consumata dal suo amore. Era giunta all’ultimo gradino della scala, divenendo Tempio del Dio Vivente. Tutto ciò nella più grande umiltà, col desiderio però di trasmettere tale dono mistico alle consorelle. Chiese al confessore il permesso di fare l’offerta della Alacoque: porre la propria volontà nella piaga del costato di Cristo ed entrare nel suo Cuore. Si sentiva però piccola e la sua più grande preoccupazione era di non amare abbastanza. L’amore a Dio si concretizzò nella mansione di aiuto infermiera che esercitò con straordinaria abnegazione, in particolare verso una consorella che per problemi psichici era purtroppo divenuta violenta. La sua carità fu silenziosa ed eroica. Tra l’altro in quel periodo le consorelle malate ed anziane erano molte. La sua stessa comunità divenne strumento di mortificazione e così, nell’ultimo Capitolo, suor Teresa Margherita fu rimproverata perché, per l’eccessivo lavoro in infermeria, sembrava trascurasse la vita contemplativa. Il totale dominio di sé, dopo un breve smarrimento, le fece superare il rimprovero con ironia.
Di S. Teresa Margherita Redi possediamo pochi scritti: alcune lettere, vari biglietti che amava dare alle consorelle con pensieri e massime, i propositi per gli esercizi del 1768 e un altro breve proposito. Dalle lettere scorgiamo alcuni momenti di sconforto: “trovandomi in questo stato di somma tiepidezza, ad ogni momento faccio qualche mancamento”, “ faccio tanti propositi, ma sono sempre l’istessa”. Si confidò con la priora chiedendole di essere trattata con durezza.
La sua ardente devozione le fece raggiungere un’altissima esperienza mistica, testimone di ciò che la preghiera può operare in un’anima. Fu attenta a tenere nascoste le sue virtù e per umiltà, con battute, smorzava la curiosità delle consorelle, tanto da essere considerata una “furbina”. Arrivò però a dire al direttore spirituale che avrebbe dovuto rendere pubblici i suoi difetti. Pur senza avere molte conoscenze teologiche fu attentissima alla comprensione della Sacra Scrittura, intesa come dono dello Spirito. Ebbe molto cara anche la lettura delle opere della Santa Madre Teresa e il suo invito a far posto a Dio col silenzio interiore. Ardente fu l’amore per l’Eucaristia: “All’offertorio, rinnovo la professione: prima che si alzi il Santissimo prego Nostro Signore, che, siccome tramuta quel pane e quel vino nel suo preziosissimo Corpo e Sangue, così si degni di tramutare tutta me in se stesso. Alzandosi lo adoro, e rinnovo ancora la mia professione, poi gli chiedo quello che desidero da lui”. Fece celebrare, per la prima volta, la festa del Sacro Cuore nella sua comunità, predisponendo ogni particolare perché fosse solenne. In questo fu sostenuta dal padre e dallo zio, il gesuita Diego Redi. Erano gli anni in cui nasceva questa devozione, non sempre ben accolta a causa delle influenze gianseniste.
Una peritonite fulminea, dopo diciotto ore di atroci sofferenze, le fece incontrare lo Sposo Celeste, tanto amato e desiderato. Dimentica di sé, poche ore prima di morire, continuava a preoccuparsi delle consorelle ammalate. Morì, a neppure ventitré anni, il 7 marzo 1770. Il suo corpo emanava un profumo soave e ancor’oggi è conservato incorrotto nel Monastero delle Carmelitane Scalze di Firenze (in passato antica villa della famiglia Redi). Il 19 marzo 1934, Papa Pio XI la proclamò santa definendola “neve ardente”. L’esistenza breve di questa semplice suora, senza avvenimenti particolari, è oggi di esempio alla chiesa universale.
Il Martyrologium Romanum la ricorda il 7 marzo, mentre l’Ordine Carmelitano la festeggia il 1° settembre.
Autore: Daniele Bolognini