Giuseppe, Maria e Gesù sono andati come ogni anno in pellegrinaggio a Gerusalemme. Le feste sono finite. Maria torna a Nazaret con le donne; Giuseppe, secondo l’uso, con gli uomini. Ciascuno crede che Gesù sia nell’altro gruppo. Solo la sera del primo giorno si preoccupano e lo cercano. Le ore passano, l’angoscia cresce. Tornano a Gerusalemme. Infine, il terzo giorno, lo ritrovano nel tempio, in mezzo ai dottori, intento ad ascoltarli e a interrogarli. Alla domanda di sua madre: “Perché ci hai fatto questo?”, risponde:”Non sapete che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Come Maria e come Giuseppe, ogni padre e ogni madre conoscono questi momenti di rottura con il loro figlio. Questa rottura è necessaria perché il giovane acquisti la sua autonomia. Questo non avviene senza uno scontro, senza crisi. E’ come un secondo parto, che dura talvolta per anni, con molte sofferenze, lacerazioni. I genitori prendono sempre più coscienza che il figlio non appartiene a loro, che deve occuparsi dei “suoi” affari e degli affari del Padre suo. Ma la rottura è molto più dura quando i nostri figli ci lasciano per prendere una via radicalmente divergente. Recentemente dei genitori sono venuti a trovarmi. La loro figlia è entrata in una setta. La loro angoscia era intensa perché non sapevano nemmeno dove cercarla. “Perché ha fatto questo?Non siamo più o meno responsabili della sua partenza? Non siamo stati troppo possessivi o troppo permissivi?”. Altri giovani evadono nella droga, si emarginano. In altri casi, i figli sono ancora presenti di fatto nella famiglia, ma se ne sono allontanati interiormente. La rottura è spirituale, ma non è meno reale.
Jean Marie Lustiger