XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Vangelo (Gv 6,51-58) La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

ascolto

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».

Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Commento
Negli otto versetti di questo Vangelo Ge­sù per otto volte ri­pete: Chi mangia la mia car­ne vivrà in eterno. E ogni vol­ta ribadisce il perché di que­sto mangiare: per vivere, per­ché viviamo davvero. È l’in­calzante, martellante certez­za da parte di Gesù di posse­dere qualcosa che capovolge la direzione della vita: non più avviata verso la morte, ma chiamata a fiorire in Dio.
Chi mangia la mia carne e be­ve il mio sangue ha la vita e­terna.
Ha la vita eterna, non avrà. La «vita eterna» non è una specie di «trattamento di fine rapporto», di liquidazio­ne che accumulo con il mio lavoro e di cui potrò godere al­la fine dell’esistenza. La vita eterna è già cominciata: una vita diversa, profonda, giusta, che ha in sé la vita stessa di Gesù, buona, bella e beata.
Ma la vita eterna interessa? Domanda il salmo responso­riale: C’è qualcuno che desi­dera la vita? C’è qualcuno che vuole lunghi giorni felici, per gustarla? (Salmo 33,13). Sì, io voglio per me e per i miei una vita che sia vera e piena. Voglio lunghi giorni e che sia­no felici. Li voglio per me e per i miei. Siamo cercatori di vita, affamati di vita, non ras­segnati, non disertori: allora troveremo risposte. Le trove­remo nella vita di Gesù, nel­la sua carne e nel suo sangue, che non sono tanto il mate­riale fisiologico che compo­neva il suo corpo, ma inclu­dono la sua vita tutta intera, la sua vicenda umana, il suo respiro divino, le sue mani di carpentiere con il profumo del legno, le sue lacrime, le sue passioni, i suoi abbracci, la casa che si riempie del pro­fumo di nardo e di amicizia. Su, fino alla carne inchioda­ta, fino al sangue versato. Fi­no al dono di sé, di tutto se stesso. Mangiare e bere Cristo significa essere in comunio­ne con il suo segreto vitale: l’amore. Cristo possiede il se­greto della vita che non muo­re. E vuole trasmetterlo.
«Chi mangia la mia carne di­mora in me e io in lui». È mol­to bello questo dimorare in­sieme. Gli uomini quando a­mano dicono: vieni a vivere nella mia casa, la mia casa è la tua casa. Dio lo dice a noi. E noi lo diciamo a Dio per­ché il nostro cuore è a casa solo accanto al suo.
Al momento della professio­ne il monaco armeno antico, invece che con i tre classici voti, si consacrava a Dio con queste parole: voglio essere u­no con Te! Una sola cosa con te. Che è il fine della vita. «U­no con te»! E lascio che il mio cuore assorba te, lascio che tu assorba il mio cuore, e che di due diventiamo finalmen­te una cosa sola. Il fine della storia: Dio si è fatto uomo per questo, perché l’uomo si fac­cia come Dio. Gesù Cristo en­tra in noi per produrre un cambiamento profondo, per una cristificazione: un pezzo di Dio in me perché io diven­ti un pezzo di Dio nel mon­do.

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