Vangelo (Gv 6,51-58) La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Commento
Negli otto versetti di questo Vangelo Gesù per otto volte ripete: Chi mangia la mia carne vivrà in eterno. E ogni volta ribadisce il perché di questo mangiare: per vivere, perché viviamo davvero. È l’incalzante, martellante certezza da parte di Gesù di possedere qualcosa che capovolge la direzione della vita: non più avviata verso la morte, ma chiamata a fiorire in Dio.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna.
Ha la vita eterna, non avrà. La «vita eterna» non è una specie di «trattamento di fine rapporto», di liquidazione che accumulo con il mio lavoro e di cui potrò godere alla fine dell’esistenza. La vita eterna è già cominciata: una vita diversa, profonda, giusta, che ha in sé la vita stessa di Gesù, buona, bella e beata.
Ma la vita eterna interessa? Domanda il salmo responsoriale: C’è qualcuno che desidera la vita? C’è qualcuno che vuole lunghi giorni felici, per gustarla? (Salmo 33,13). Sì, io voglio per me e per i miei una vita che sia vera e piena. Voglio lunghi giorni e che siano felici. Li voglio per me e per i miei. Siamo cercatori di vita, affamati di vita, non rassegnati, non disertori: allora troveremo risposte. Le troveremo nella vita di Gesù, nella sua carne e nel suo sangue, che non sono tanto il materiale fisiologico che componeva il suo corpo, ma includono la sua vita tutta intera, la sua vicenda umana, il suo respiro divino, le sue mani di carpentiere con il profumo del legno, le sue lacrime, le sue passioni, i suoi abbracci, la casa che si riempie del profumo di nardo e di amicizia. Su, fino alla carne inchiodata, fino al sangue versato. Fino al dono di sé, di tutto se stesso. Mangiare e bere Cristo significa essere in comunione con il suo segreto vitale: l’amore. Cristo possiede il segreto della vita che non muore. E vuole trasmetterlo.
«Chi mangia la mia carne dimora in me e io in lui». È molto bello questo dimorare insieme. Gli uomini quando amano dicono: vieni a vivere nella mia casa, la mia casa è la tua casa. Dio lo dice a noi. E noi lo diciamo a Dio perché il nostro cuore è a casa solo accanto al suo.
Al momento della professione il monaco armeno antico, invece che con i tre classici voti, si consacrava a Dio con queste parole: voglio essere uno con Te! Una sola cosa con te. Che è il fine della vita. «Uno con te»! E lascio che il mio cuore assorba te, lascio che tu assorba il mio cuore, e che di due diventiamo finalmente una cosa sola. Il fine della storia: Dio si è fatto uomo per questo, perché l’uomo si faccia come Dio. Gesù Cristo entra in noi per produrre un cambiamento profondo, per una cristificazione: un pezzo di Dio in me perché io diventi un pezzo di Dio nel mondo.