Dalle «Confessioni» di sant’Agostino, vescovo
Il vero mediatore, che la tua segreta misericordia ha rivelato agli umili e che hai inviato perché dal suo esempio imparassero, fra l’altro, la stessa umiltà, quel «mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo
Gesù», apparve come elemento di congiunzione tra i malfattori mortali e il giusto immortale, lui mortale con gli uomini, giusto con Dio. Ora la ricompensa della giustizia è la vita e la pace. Per questo Cristo con la giustizia, che lo accomunava a Dio, eliminò la morte che, per sua libera scelta, lo accomunava con gli empi giustificati.
Quanto ci hai amati, o Padre buono, che non hai risparmiato il tuo unico Figlio, ma lo hai dato per noi peccatori! (cfr. Rm 8, 32).
Come ci hai amati, quando per noi «egli che non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con te, si fece obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2, 6. 8)! Proprio lui, l’unico libero fra i morti, «che ha il potere di offrire la propria vita e il potere di riprenderla di nuovo» (Gv 10, 18)! Per noi è vincitore e vittima davanti a te, vincitore proprio perché vittima. Per noi è sacerdote e sacrificio davanti a te, sacerdote proprio perché sacrificio. Egli da schiavi ci ha resi tuoi figli, nascendo da te, servendo a noi.
Con tutta ragione pongo in lui una sicura speranza che tu, o mio Dio, guarirai tutte le mie infermità, per mezzo di colui che sta alla tua destra e «intercede per noi» (Rm 8, 34). In caso diverso sarei in preda alla disperazione. Numerose e grandi sono le mie debolezze, sono numerose e grandi, ma più abbondante è il rimedio che tu doni. Avremmo potuto pensare che il tuo Verbo fosse lontano dal congiungersi all’uomo e avremmo dovuto disperare di noi, se non si fosse fatto carne e fosse venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr. Gv 1, 14). Spaventato dai miei peccati e dal cumulo della mia miseria, avevo ventilato in cuor mio e meditato il ritiro nella solitudine. Ma tu me l’hai impedito e mi hai spronato con queste parole: «Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2 Cor 5, 15).
Ecco, Signore, io getto in te ogni mio pensiero perché io viva, «perché io veda le meraviglie della tua legge» (Sal 118, 18). Tu conosci la mia stoltezza (cfr. Sal 68, 6) e tutte le mie malattie. Insegnami a compiere il tuo volere e risanami. Il tuo Unigenito, «nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2, 3), mi ha redento con il suo sangue. «Non mi opprimano superbi» (Sal 118, 122), perché ho davanti agli occhi il prezzo della mia redenzione, esso è mio cibo e mia bevanda. È un dono che faccio anche agli altri. Povero quale sono, desidero saziarmi di esso tra quelli che ne mangiano e se ne saziano e «Loderanno il Signore quanti lo cercano» (Sal 21, 27).