“La lotta è la regola del mondo e la guerra è la madre di tutte le cose e di tutte è regina”, afferma Eraclito di Efeso (IV-V sec. a C.), il filosofo greco che ha messo in luce l’incessante succedersi di ogni realtà umana. E dobbiamo convenire con lui che lotta e guerra presiedono alla vita sul nostro pianeta e sono condizione di sopravvivenza (si pensi al regno animale) prima ancora che espressione di dominio o volontà di potenza. A questa logica non sfugge la vita spirituale. E infatti tra i “temi maggiori” della pratica religiosa troviamo il combattimento spirituale, nome che indica “lo sforzo continuo per la conquista della perfezione”. Incontriamo questo tema lungo l’intero arco del bimillennio cristiano, così da costituire una nota caratteristica della chiesa, detta appunto “militante”. Parlano di questo soprattutto le vite dei santi, ma ne trattano con maggiore o minore ampiezza gli autori spirituali antichi e recenti. Tale combattimento, a loro dire, ha per oggetto la “malefica trilogia”, costituita dai tre nemici dell’anima: la carne, il mondo e il maligno. Il maligno è per definizione il nemico del genere umano, apparso fin dai primordi sulla scena del mondo. Il radicamento biblico è più che evidente. E’ anzi la stessa scrittura che ha ispirato la dottrina del combattimento spirituale. Nell’Antico Testamento Jahwè è presentato come divinità equipaggiata di armatura, di cui a sua volta equipaggia il creato: “egli prenderà per armatura il suo zelo e armerà il creato per castigare i nemici; indosserà la giustizia come corazza e si metterà come elmo un giudizio infallibile; prenderà come scudo una santità inespugnabile; affilerà la sua collera inesorabile come spada e il mondo combatterà con lui contro gli insensati”.
Antonio Gentili