La gioia è il dono che il cristianesimo ha fatto al mondo.
Tutto il nostro essere è fatto per la gioia. “Non si può trovare uno che non voglia essere felice” (s. Agostino). “Norma suprema di condotta, criterio discriminante del bene e del male è la felicità: uno fa bene quando tende alla felicità, fa male quando tende a metterla in pericolo; ha diritto a tutto ciò che è necessario per arrivare alla felicità ed ha il dovere di fare tutto quello che occorre a tale scopo” (G. B. Guzzetti). Ma c’è anche un falso modo di intendere la gioia. “Non è certo che tutti vogliano essere felici; poiché chi non vuole avere gioia di Te, che sei la sola felicità, non vuole la felicità” (s. Agostino). Nonostante le deviazioni possibili e facili per l’uomo storico, la gioia è richiesta dalla natura stessa dell’uomo, è un suo bisogno, è un suo diritto. Quel che è vero per ogni uomo lo è a maggior ragione per il cristiano. Egli deve avere la sua tipica gioia, ed essa è per lui un dovere. Deve cercarla con impegno senza darsi per vinto finché non l’abbia trovata.
Il dovere della gioia nelle Scritture
“Possa tu avere molta gioia!” è il saluto rivolto dall’angelo a Tobia (Tb 5,11). E il Siracide aggiunge: “Non abbandonarti alla tristezza, non tormentarti con i tuoi pensieri. La gioia del cuore è la vita per l’uomo, l’allegria di un uomo è lunga vita! (Sir 30,22-23). “Dio ama chi dona con gioia” (Sir 35,11; 2Cor 9,7). Gesù insiste molto sulla gioia: “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11). Prega per i suoi discepoli “perché abbiano in se stessi la pienezza della sua gioia” (Gv 17,13). Si premura di assicurarli che la loro tristezza per la sua passione e morte si cambierà in gioia quando lo vedranno risuscitato e glorioso: “Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia… Voi ora siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16,20-23). Li esorta a pregare il Padre per provare la gioia di essere esauditi: “Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena” (Gv 16,24). Gesù si esprime con tenerezza e con forza perché chi lo segue comprenda che la proposta di vita cristiana, che passa attraverso la croce, ha come sfondo e traguardo la gioia. È terribilmente falsa la presentazione del cristianesimo come “nemico della gioia” (Anatole France) o “maledizione della vita” (Nietzsche). San Paolo esorta i cristiani a conservare sempre e ovunque la gioia: “Fratelli miei, state lieti nel Signore” (Fil 3,1); “Rallegratevi nel Signore; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini” (Fil 4,4-5); “Il regno di Dio… è giustizia, pace, e gioia nello Spirito Santo” (Rm 14,17), E l’apostolo giustifica questa sua insistenza sulla gioia del cristiano appellandosi proprio alla volontà di Dio: “State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie: questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” (1Ts 5,18). Il cristiano deve essere gioioso perché lo Spirito di Dio produce in lui la gioia: “Il frutto dello Spirito è amore, gioia…” (Gal 5,22). Illuminata dalla parola di Dio e dalla sua grazia, la vita dei cristiani diventa una festa: essi sono davvero la Pasqua del mondo.
La tradizione del pensiero cristiano
Gli Atti degli apostoli descrivono così i primi cristiani: “Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo” (At 2,46-47). Tra i primi testi cristiani, il Pastore di Erma ci regala questa stupenda pagina: “Caccia da te la tristezza perché è sorella del dubbio e dell’ira. Tu sei un uomo senza discernimento se non giungi a capire che la tristezza è la più malvagia di tutte le passioni e dannosissima ai servi di Dio: essa rovina l’uomo e caccia da lui lo Spirito Santo… Armati di gioia, che è sempre grata ed accetta a Dio, e deliziati in essa. L’uomo allegro fa il bene, pensa il bene ed evita più che può la tristezza. L’uomo triste, invece, opera sempre il male, prima di tutto perché contrista lo Spirito Santo, fonte all’uomo non di mestizia ma di gioia: in secondo luogo perché tralasciando di pregare e di lodare il Signore, commette una colpa… Purificati, dunque da questa nefanda tristezza e vivrai in Dio. E vivranno in Dio quanti allontanano la tristezza e si rivestono di ogni gioia” (Pastore di Erma. Decimo precetto). San’Ignazio di Antiochia in viaggio verso Roma dove morì martire nel 107 d. C. scrive ai Romani: “È bello tramontare al mondo per il Signore e risorgere in Lui… Scrivo a tutte le Chiese e annunzio a tutti che io muoio volentieri per Dio… Potessi gioire delle bestie per me preparate e mi auguro che mi si avventino subito”. Il vescovo san Policarpo (+155) nell’affrontare il martirio “era pieno di coraggio e allegrezza e il suo volto splendeva di gioia” (Martirio di Policarpo. XII, 1). I Padri del deserto e i dottori della Chiesa d’Oriente ponevano come ottavo vizio capitale la tristezza peccaminosa che è l’opposto della gioia cristiana. San Nilo l’Antico scriveva: “La dolcezza dello spirito nasce dalla gioia mentre la tristezza è come la bocca del leone che divora l’uomo malinconico” (Detti dei padri del deserto). La gioia è dunque un dovere per il cristiano: “È necessario che chiunque voglia progredire abbia la gioia spirituale” (s. Tommaso d’Aquino). Perciò è certo che il cristiano deve cercare la sua gioia, deve possederla. Nel fare questo non solo non pecca, ma compie giustamente la volontà di Dio. E appare nel mondo come l’uomo veramente realizzato mentre egli stesso si accorge quanto sia beata la sua condizione paragonata a quella di coloro che si dibattono disperatamente nella condizione del non-senso della vita.