Le Scritture vanno considerate come segno e strumento di un’alterità salvifica: mentre ci richiedono uno sforzo di attenzione/concentrazione, ci decentrano indirizzandoci a Cristo. E proprio in quanto segno e strumento di alterità, le Scritture possono costituire un possente antidoto a una certa religiosità vaga, dai tratti immanentistici e talora panteistici (unità-fusione di uomo, Dio, cosmo) che gode buona fama ai nostri giorni. Antidoto anche a una ricorrente psicologizzazione della fede, che è subentrata alla ormai datata socializzazione della fede. Anche i credenti, come molti nostri contemporanei, sono tentati di rifugiarsi nel privato, nel piccolo cabotaggio, nella sfera dei sentimenti innocui, nel «và dove ti porta il cuore», dove non c’è più nessun confronto se non con se stessi. Enzo Bianchi, rivolgendosi ai giovani afferma: «Pensate, imparate a pensare, ma non riducete la vita cristiana a un momento narcisistico di introspezione psicologica o di miglioramento di qualche aspetto del vostro carattere. Diffidate di quei “maestri spirituali” che riducono il cristianesimo a via psicologica che ha come centro e fine non il Cristo risorto, non il Signore vivente, ma “l’io” stesso dell’uomo e la sua pacificazione. Così il cristianesimo si riduce a paganissimo mito di redenzione, perdendo, la salvezza, il fascino e il rischio dell’incontro personalissimo con Gesù, il Signore, e da fede che apre all’Altro e agli altri si muta in complicata tecnica di meditazione centrata sull’ “io” del soggetto e finalizzata a esso».
Franco Ardusso