VANGELO (Luca 13,6-9)
In quel tempo Gesù diceva ai suoi discepoli anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: «Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?». Ma quello gli rispose: «Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai».
Commento
Oggi il vangelo ci annuncia, con la parabola del fico sterile, la misericordia del Signore. Nelle Scritture sante la misericordia è al cuore dell’agire del Signore verso Israele e a favore dell’umanità tutta, come lui stesso rivelò a Mosè rivelandogli il suo Nome. E Gesù con le sue parabole ci insegna a riconoscerla presente e operante nelle nostre vite, innanzitutto come dono gratuito di Dio di cui abbiamo continuamente bisogno, e anche come compito, come la nostra sinergia col Signore verso le sue creature. Nel vangelo di ieri, quasi introduzione a questa breve parabola, Gesù attestava con forza che cosa non è azione di Dio: la sventura che si abbatte su così tanti essere umani non è giudizio di Dio sui peccatori. Il Signore è colui che non spegne lo stoppino dalla fiamma smorta, che non spezza la canna incrinata, canta Isaia. E proprio questo Gesù è venuto a narrarci con la sua vita tra di noi. E oggi la parabola del fico sterile – sterile almeno fino all’oggi del racconto – dice che il tempo della nostra vita è il tempo della pazienza e dell’attesa di Dio verso di noi: Dio aspetta con pazienza che portiamo frutto. Nella bibbia l‘albero è la più consueta metafora dell’essere umano. Il Signore che ci ha fatti e che ci ha affidato il mondo, aspetta da noi il frutto dell’amore che è giustizia, resistenza all’ingiustizia, responsabilità verso i nostri prossimi. Nella parabola c’è un fico sterile e il vignaiolo che riceve dal padrone l’ordine di eliminarlo. Il centro della parabola è l’atteggiamento del vignaiolo che incarna la misericordia del Signore: “Lascialo ancora un anno perché gli zappi attorno e gli dia il concime. Forse, darà frutto. Io, in ogni caso, non lo taglierò”. Nel vignaiolo Gesù rappresenta se stesso come profeta, e come i profeti, i grandi amici di Dio, sta in piedi tra il Signore del mondo e il suo popolo, ad istruire, ammonire e a chiamare a conversione questi, e a ricordare a Dio la sua fedeltà misericordiosa giurata per sempre. Questa parabola ci rivela la misericordia come pazienza e come invito alla pazienza, come intercessione presso il padrone del fico, come lavoro di chi si prende cura e responsabilità della miseria e sterilità altrui, impegnando tutto se stesso e pensando: forse, farà frutto. Se diventassimo consapevoli di essere questo sterile fico, e dunque della misericordia che ci è fatta a tutt’oggi, potremmo, spinti dalla gioia della gratitudine, tentare di dare finalmente frutto ricordandoci della parola di Gesù: ecco, io ve ne ho dato l’esempio: come io ho fatto a voi, fatelo anche voi. La sequela si fonda sulla convinzione fiduciosa che così Gesù agisce con noi, con chiunque, anche con me. Ma anche: come capirono bene i figli di Israele al Sinai, poiché la parola del Signore la si capisce solo obbedendola e praticandola, proviamo a fare, almeno un poco, come questo evangelico vignaiolo, e sapremo, almeno un po’, cosa il Signore fa per noi nei nostri giorni: la misericordia con cui sta con noi e aspetta da noi il frutto dell’amore.