Suo padre è uno dei Franchi conquistatori della Gallia con re Clodoveo. Sua madre è di famiglia gallo-romana: appartiene alla classe nobile del popolo“conquistato”. Sicché lui, Medardo, fa parte della prima generazione “francese”, nata dalla fusione delle due stirpi. Dopo gli studi a Viromandensium (attuale Saint-Quentin) viene ordinato sacerdote, e diventa precocemente famoso per alcuni miracoli attribuitigli, minuscoli prodigi. Un giorno, la sua preghiera ha reso “muta” la campanella che segnalava il furto di una mucca; un’altra volta, ha placato e dirottato uno sciame di api, inferocite contro un uomo che rubava l’arnia col miele.
Miracoli a favore dei ladri, insomma. Ma quei ladri stavano derubando lui: sua era la mucca, suo il miele; sua anche una vigna depredata da uno che lui ha aiutato a fuggire. Narrazioni ingenue, probabilmente leggendarie: ma sono importanti come testimonianze della fama di generosità che lo ha circondato anche da semplice prete. Nel romanzo ottocentesco I miserabili, di Victor Hugo, troviamo la figura del vescovo Benvenuto Myriel, di Digne, che non solo perdona chi ha rubato la sua argenteria da tavola, ma gli regala ancora due candelabri preziosi. Forse Hugo, creando questo personaggio, si è ispirato ai racconti sulla generosità di Medardo.
Intorno al 545 lo troviamo vescovo dell’attuale Saint-Quentin, nel territorio sul quale regna Clotario I, uno dei quattro figli di Clodoveo, che alla morte del padre si sono spartiti il regno. Più tardi, morti i fratelli, Clotario I regnerà da solo sui Franchi.
E un giorno arriva nell’episcopio di Medardo in Saint-Quentin una donna disperata. È Radegonda, figlia del re di Turingia, arrivata alla corte di Clotario I come “bottino di guerra”, e infine sua moglie: ma sfortunatissima moglie, continuamente tradita e offesa da Clotario, che poi fa uccidere uno dei suoi fratelli. La donna non ne può più del re, della corte, vuole lasciare tutto e farsi monaca. Medardo l’accoglie, la consacra diaconessa e l’avvia verso la nuova vita: Radegonda fonderà poi un monastero e un ospedale a Poitiers. Questo è l’avvenimento più importante che le cronache tramandano sull’episcopato di Medardo, che dura quindici anni. Quando muore, il re Clotario I ordina che il corpo venga portato a Soissons (all’epoca è la sua capitale). Qui lo si depone in una tomba, sopra la quale si costruirà poi la chiesa dell’abbazia di San Medardo. E dove sarà seppellito anche re Clotario I, morto nel 561. Così, il culto per il vescovo incomincia subito, si divulga per voce popolare, finché il suo nome sarà iscritto nel Martirologio Geronimiano e poi in quello Romano. Una biografia dell’XI secolo lo indica erroneamente come vescovo di Noyon.
Alcune raffigurazioni di san Medardo lo mostrano con la bocca aperta e sorridente, perché dopo la morte si cominciò a invocare la sua protezione contro il mal di denti. Per secoli, il suo nome è stato poi associato anche alla meteorologia, secondo un detto popolare: «Se piove nel giorno di san Medardo (8 giugno), pioverà ancora per altri quaranta giorni».
Autore: Domenico Agasso