III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C) – GAUDETE

VANGELO   (Lc 3,10-18) E noi che cosa dobbiamo fare?
CARIT-~1In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa  dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non  ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero:  «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete  nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?».  Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno;  accontentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si  domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a  tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte  di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi  battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la  sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la  paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

Commento

«Esulterà, si ralle­grerà, griderà di gioia per te, co­me nei giorni di festa». Nel­le parole del profeta, Dio danza di gioia per l’uomo. Sofonia racconta un Dio fe­lice il cui grido di festa at­traversa questo tempo d’avvento e ogni tempo dell’uomo e ripete, a me, a te, ad ogni creatura: «tu mi fai felice». Tu, festa di Dio.
Dio seduce proprio perché parla il linguaggio della gioia, perché «il problema della vita coincide con quello della felicità» (Nietz­sche). Mai nella Bibbia Dio aveva gridato. Aveva parla­to, sussurrato, tuonato, a­veva la voce dei sogni; solo qui, solo per amore Dio gri­da. Non per minacciare, so­lo per amare. Mentre il profeta intuisce la danza dei cieli e intona il canto dell’amore felice, il Battista risponde alla do­manda più feriale, che sa di mani e di fatica e incide nei giorni: «che cosa dobbiamo fare?». E l’uomo che non possiede nemmeno una veste degna di questo no­me, risponde: «chi ha due vestiti ne dia uno a chi non ce l’ha».
Colui che si nutre del nulla che offre il deserto, caval­lette e miele selvatico, risponde: «chi ha da man­giare ne dia a chi non ne ha». Nell’ingranaggio del mondo Giovanni getta un verbo forte, «dare». Il primo verbo di un futuro nuovo.
In tutto il Vangelo il verbo a­mare si traduce con il ver­bo dare (non c’è amore più grande che dare la vita; chiunque avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca; c’è più gioia nel da­re che nel ricevere…). È leg­ge della vita: per stare bene l’uomo deve dare.
Vengono pubblicani e sol­dati, pilastri del potere: «e noi che cosa faremo?». «Non prendete, non estor­cete nulla, non accumula­te». Tre risposte per un pro­gramma unico: tessere il mondo della fraternità, co­struire una terra da cui sal­ga giustizia. Il profeta sa che Dio si trasmette attraverso un atteggiamento di rispet­to e di venerazione verso tutti gli uomini, e si tra­smette come energia libe­ratrice dalle ombre della paura che invecchiano il cuore. L’amore rinnova ( Sofonia), la paura invec­chia il cuore. «E io, che cosa devo fare?». Non di grandi profeti ab­biamo bisogno ma di tanti piccoli profeti, che là dove sono chiamati a vivere, an­che non visti, giorno per giorno, siano generosi di giustizia, di pace, di onestà, che sappiano dialogare con l’essenza dell’uomo, por­tando se non la Parola di Dio almeno il suo respiro alto dentro le cose di ogni giorno.
Allora, a cominciare da te, si riprende a tessere il tessu­to buono del mondo.   

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