Per mettersi “in religioso ascolto” occorre un clima di silenzio, di calma interiore. Occorre creare nel ritmo della giornata una pausa contemplativa, ove lo strepito degli affari non entri a portare turbamento. Giovanni XXIII, in un discorso ai trappisti, evoca uno stupendo testo di Bernardo che nella sua parte centrale suona così: “… Ivi ci si occupa di Dio… ci si dà alle sante letture. Continuo è il silenzio e l’assenza di ogni terrena preoccupazione costringe a meditare le realtà celesti”. Là dove si attende alla lettura personale della Scrittura, occorre creare quasi un piccolo angolo di monastero: se non nell’ambiente esterno, almeno nel santuario del cuore. Allora si crea tra il fedele e la Parola, una comunicazione misteriosa e intima. Con un pacato sforzo di raccoglimento io mi raccolgo tutto nell’ascolto. Vi impegno tutte le mie energie: non solo la testa, ma pure il cuore, nel senso evangelico, cioè il focolare più intimo dell’universo interiore. Sono presente con tutto me stesso davanti a Colui che mi parla. Un esegeta protestante aveva fissato questo atteggiamento in una formula scultorea: “Aderisci totalmente al testo e quanto esso dice riferiscilo a te stesso”. Già Ambrogio aveva parlato dell’anima che “si volge tutta alla Parola”: lo sappiamo che “il Verbo” non è solo una parola, ma è una Persona. E’ un’attenzione totale che poi si traduce in un’adesione piena, in un abbandono completo. Il fedele in contemplazione si lascia assorbire da ciò che contempla, vi aderisce nell’amore e si dona senza riserve. Il progresso nel trascendere le povere cose di quaggiù e nell’aderire al Dio vivente condiziona e proporziona una conoscenza della Parola che, per essere vera, mette in gioco tutte le energie dell’uomo interiore.
Mariano Magrassi