Lo sguardo che la purezza del cuore rende penetrante non è lo sguardo dell’intelligenza naturale, ma quello della fede; oppure, se si vuole, è quello di un’intelligenza che, illuminata dalla fede e investita dai doni dello Spirito santo, giunge a una conoscenza vitale. Vitale, si, perché è uno sguardo capace di riconoscere nelle Scritture il Cristo. E chi conosce lui, entra nella vita. E poiché siamo nell’ambito soprannaturale, non basterà affinare le tecniche della ricerca. Non si possono cogliere i frutti della sacra pagina con un’indagine puramente profana. Occorrerà soprattutto pregare. Prima occorre, infatti, cercare; non dico anzi che occorra cercare la fede, ma implorarla. “La cosa più importante è pregare per comprendere”, diceva Agostino. Questo tipo di conoscenza scritturistica è essenzialmente un’attività contemplativa, che un medievale definiva con questa formula stupenda: “Cercare sé in Dio e Dio in sé”. L’ascolto mette in moto l’esercizio di tutte le virtù teologali come, sulle orme di Agostino, si esprime il proemio della Dei Verbum: “Affinché per l’annuncio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami”. Qui si radica l’esigenza di un’altra attitudine spirituale che Alcuino denomina “pia umiltà”, e Cassiano “umiltà del cuore”. E’ troppo grande la Parola di Dio e noi siamo troppo piccoli perché ci possiamo accostare con una qualunque pretesa od orgoglio intellettuale, e non piuttosto con la fronte prostrata nella polvere.
Mariano Magrassi