Prendere la nostra croce significa morire al peccato

L’apostolo Paolo aveva ben chiaro ciò che voleva intendere Gesù ed era per questo che esortava i credenti di Roma, dicendo: “Sappiamo infatti che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato e noi non serviamo più al peccato; infatti colui che è morto è libero dal peccato” (Romani 6:6,7). Il vero discepolo di Cristo non ha più alcun diritto di peccare. Ciò significa che abbiamo chiuso con il peccato, perché un uomo morto non pecca più. E’ la vecchia natura che è peccaminosa, quindi avendola crocifissa, la concupiscenza e le passioni carnali diventano una cosa del passato. Il ladro crocifisso non poteva rubare più. L’assassino crocifisso non poteva uccidere più. I piaceri peccaminosi erano finiti per sempre. La “carne” era stata inchiodata sul legno. Questo è quello che è accaduto a noi avendo crocifisso “l’uomo vecchio”, e quindi essendo morti al peccato (Romani 6:6,7). Prima di andare avanti è bene accertarsi se veramente si è morti al peccato. Non voglio chiederti se continui ad uccidere, rapinare, a commettere adulterio o altre cose terribili che sicuramente hai allontanato dalla tua vita e ti guardi bene dal ritornare a conviverci. Ci sono però dei peccati che sfuggono alla coscienza o che vengono giustificati inconsciamente e razionalmente in tanti modi. Essere morti al peccato significa essere morti ad ogni forma di peccato.
“Adiratevi e non peccate” (Efesini 4:26). L’ira: che peccato comune! Risentimenti che ardono lentamente; irritazioni nascoste; malignità coltivate nella mente; collere che all’improvviso scoppiano. Tutti peccati che vengono tollerati con grande pazienza. Adirarsi e non peccare è possibile quando, come Gesù, ci si adira contro il peccato e le ipocrisie e non contro i peccatori e gli ipocriti.
“Chi rubava non rubi più” (Efesini 4:28). Menzogna, collera e furto sono peccati assai comuni e sono spesso condonati. Chi si converte a Cristo, deve abbandonare la condotta della vecchia vita. Alcuni credenti del ventesimo secolo, sarebbero inclini a trascurare tale comandamento come se non li riguardasse, non essendosi mai macchiati di furto, di prevaricazioni o crimini di questo genere. Ma forse abbiamo bisogno di considerare il furto sotto un altro punto di vista. Tutti saranno d’accordo nel convenire che ottenere qualcosa ingiustamente, con la frode o con la forza significa rubare.Il modello di assoluta santità di Dio và molto più lontano e pone nella categoria del furto anche ogni sorta di profitto illecito, di sotterfugio, di cattivo uso del denaro, di parassitaggio, di rifiuto di pagare i debiti. Rubare può essere anche togliere a Dio ciò che dovrebbe essergli dato (Mal. 3:8). Sei veramente morto al peccato? Giudichi il peccato che è attorno a te con lo stesso ardore con cui lo faceva Gesù, oppure ti sei abituato a conviverci? Pensi anche tu che tanto il mondo va così per questo non c’è nulla da fare? La Parola ha degli ordini ben precisi per coloro che vogliono essere discepoli di Cristo: “Fate dunque morire ciò che in voi è terreno, fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e cupidigia, che è idolatria. Per queste cose viene l’ira di Dio sui figli ribelli. E così camminaste un tempo anche voi, quando vivevate in esse. Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, collera, malignità, calunnia; e non vi escano di bocca parole oscene. Non mentite gli uni agli altri, perché vi siete spogliate dell’uomo vecchio con le sue opere e vi siete rivestiti del nuovo, che si va rinnovando in conoscenza a immagine di colui che l’ha creato” (Col. 3:5-10).

Angelo Gargano

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