C’è un sapere che risale alle radici del cristianesimo, che viene posto con forza fin dalla parola del Cristo. Di che sapere si tratta? Di quello che riconosce il combattimento, la lotta, il confronto, come un momento centrale della crescita spirituale dell’individuo, e come un metodo indispensabile della sua trasformazione. L’uomo cresce nel conflitto. E’ attraverso il conflitto che esce dall’avvolgente simbiosi con la figura materna, lasciando il mondo dei bisogni per accedere a quello dei desideri, delle sfide, delle opportunità e della libertà. E’ nel conflitto che accoglie e si dona all’altro da sé, il diverso nel genere, nella cultura, nell’identità. E’ attraverso il conflitto che si separa poi dalla famiglia di origine, per costruire la propia. E’ nel conflitto che supera le chiusure dell’ego, per accedere a una visione transpersonale, che lo renda capace di accoglimento dell’altro, e di dono alla comunità. E’ solo attraverso il conflitto, infine, che può accettare la dimensione della perdita e della morte, che gli consente di dare una dimensione e un senso alla propia vita. Il conflitto, nel suo concreto e quotidiano aspetto di lotta, di combattimento, va quindi in senso opposto all’orientamento distraente e tranquillizzante della psicologia della modernità, per la quale l’obiettivo è un individuo docile, adattato, sedato. Un soggetto neppure sfiorato da quel conflitto interiore che fatalmente lo spingerebbe a cercare di “diventare se stesso”, realizzando così il piano che il Padre ha concepito per lui. Un individuo disposto invece a inseguire l’immagine mutevole di sé (e in realtà inafferrabile), che la società dei consumi e dello spettacolo gli propone. Per questo il combattimento, la lotta spirituale e psicologica, è oggi condannato e soffocato con ogni mezzo.
Antonio Gentili